Vivere con il deficit

Gestione dello stress psicologico

Gestione dello stress alfa 1 at - Deficit di Alfa 1 At Antitripsina

In questa parte verrà analizzato il problema della comunicazione della diagnosi, di ciò che scatena e della gestione dello stress connesso alla consapevolezza del deficit e della malattia cronica. 

Se vi rispecchiate in questi casi, in queste emozioni, non provate vergogna. Esprimere ciò che si prova e vivere bene con sé stessi e con i propri limiti è un aspetto determinante per la vostra buona qualità della vita. Alcuni comportamenti possono essere un fattore di rischio per la vostra salute e per il vostro benessere psicologico. Leggendo, pensate a voi stessi e pensate a ciò che vi è successo, a ciò che state vivendo e pensate che probabilmente molti altri si sentono così. Questa consapevolezza dovrebbe incentivarvi a chiedere aiuto, nel caso ne sentiate il bisogno: condividere aiuta a non sentirsi soli!

La diagnosi

La comunicazione della diagnosi rappresenta un momento complesso, in quanto scatena reazioni ed emozioni difficili da gestire, diverse per ognuno e tutte legittime quali rabbia, paura, senso di impotenza e stordimento. Ognuno di noi affronta i problemi in modo diverso, quindi reagisce in modo differente al momento della diagnosi. Se non conoscevi nulla sul deficit, inizialmente le informazioni che hai ricevuto sulla diagnosi possono sembrarti misteriose e complesse e possono essere fraintese. In quel momento, forse, ti sei sentito confuso, frastornato, scoraggiato per il fatto che non sapevi come avresti potuto affrontare la situazione, perché temevi che tutto nella tua vita sarebbe cambiato.

Ti sarai chiesto come gestire il deficit e la malattia e tutto ti sarà sembrato insormontabile o di difficile gestione. Oppure ti sei sentito sollevato perché finalmente avevi trovato la causa dei tuoi sintomi. Magari ti sei informato raccogliendo più informazioni per avere un certo controllo sulla situazione. 

La malattia genetica è spesso legata ad un senso di fatalismo ed abbandono rispetto al futuro, privo di ogni possibilità di controllo. Il fatto che si tratti di una malattia genetica, trasmissibile quindi ai figli, rappresenta un fattore emotivo che influisce in modo importante sulla persona. Inoltre, la persona si può percepire come “carente o difettosa”. I meccanismi di difesa utili a distanziare la minaccia della malattia e ad abbassare l’ansia e l’angoscia connesse, in questo caso non funzionano: non c’è una parte malata da circoscrivere o un organo da imputare come “colpevole”. Pertanto, le malattie genetiche hanno spesso conseguenze psicologiche importanti ed i loro correlati emotivi, dinamici e relazionali, possono essere distinti da tutti gli altri problemi medici. Se a questa componente si aggiunge anche il fatto che, oltre al deficit genetico, l’individuo può trovarsi ad affrontare anche i sintomi della malattia manifesta, è facile intuire quale sia l’impatto psicologico dell’individuo.

Difficoltà nel comunicare la diagnosi ai famigliari

Alla difficoltà connessa al dover metabolizzare la diagnosi del deficit e alla gestione della patologia, si aggiunge il problema di doverlo comunicare ai famigliari. Questo può essere complicato per vari motivi:

  • Una volta diagnosticato il deficit di alfa-1 antitripsina, i famigliari devono sottoporsi al test; sorge quindi lo stress legato al senso di colpa e al senso di incertezza che riguarda la trasmissibilità genetica;
  • La gestione della diagnosi della malattia e delle problematiche connesse implica l’educazione anche dei famigliari con un coinvolgimento impegnativo e imprevisto;
  • L’individuo teme che la notizia venga accolta dai famigliari in modo negativo, poco considerata o amplificata.

Il soggetto ha certamente bisogno di sostegno, ma spesso, per una serie di paure, si vergogna a chiedere aiuto. È fondamentale che l’individuo condivida con la famiglia il suo disagio, aprendosi al confronto con gli altri senza isolarsi e allo stesso modo che la famiglia e gli amici diano il giusto supporto sociale, per evitare che il soggetto si senta indifeso, depresso e solo, come spesso accade.

Riduzione e gestione dello stress

Cosa è lo stress?

Lo stress è una parte inevitabile della nostra vita. Ci sentiamo stressati ogni volta che la domanda posta verso di noi è più grande rispetto alle risorse che abbiamo a disposizione per soddisfarla. Ognuno impara a gestire lo stress sfruttando le proprie capacità e abilità, facendo affidamento su se stesso e servendosi del supporto degli amici e dei famigliari, della comunità. Lo stress può essere positivo se ci stimola e ci sprona, ma troppo stress diventa opprimente e negativo per la salute, ci fa sentire frustrati, affaticati e deboli. 

Ci sono due tipi di stress:

  • Stress acuto, dovuto a situazioni di paura o di pericolo, nelle quali si instaura la risposta ormonale del cortisolo e dell’adrenalina;
  • Stress cronico, in cui il nostro corpo intensifica lo stato di reazione per un periodo prolungato: se non conosciamo dei metodi per gestire il nostro stress, la costante esposizione e l’accumulo di fattori stressanti possono causare un sovraccarico a livello del cervello, del cuore, dei muscoli e dei polmoni, portando danni fisici e psicologici.

Fortunatamente, ci sono alcune tecniche per gestire lo stress acuto e lo stress cronico che puoi imparare, usandole da solo o con l’aiuto di un professionista. Queste tecniche possono aiutarti a:

  • Calmare la tua immediata reazione allo stress;
  • Alleggerire la tensione accumulata con lo stress cronico;
  • Mantenere un salutare stato di equilibrio psico-fisico.

Possono essere utilizzate nella vita di tutti i giorni e possono essere utili al fine di ristabilire l’equilibrio, ad esempio:

  • Ascoltare musica;
  • Ritagliarsi attimi solo per sé o per stare con i propri cari;
  • Comunicare con gli altri frequentando dei gruppi;
  • Fare attività fisica;
  • Utilizzare video e libri di auto-aiuto;
  • Fare esercizi di rilassamento, usando il respiro ritmico, con una breve apnea tra inspirazione ed espirazione, visualizzando colori tenui in successione (partendo dal rosa, passando per il giallo e terminando con l’azzurro);
  • Possono aiutare anche meditazione e yoga.

Risposte emotive allo stress

Gli psicologi hanno individuato un set di risposte emozionali allo stress, che include 5 tappe. Si tratta di risposte adattive dell’’individuo al cambiamento traumatico, in particolare alla malattia cronica, che si manifestano con tempi diversi a seconda dell’individuo. Queste tappe sono:

  • Negazione o rifiuto
  • Rabbia
  • Patteggiamento
  • Depressione 
  • Accettazione

È comunque da tener presente il fatto che ognuno affronti i problemi in modo differente e con tempi diversi. 

Dobbiamo però ricordare che in questo processo sono coinvolti coloro che scoprono di avere un deficit genetico, coloro che scoprono di avere una malattia cronica, ma anche i famigliari e le persone che si prendono cura del malato. Importante è esprimere le nostre emozioni, capirle, identificarle e capire anche quelle di chi ci sta accanto.

Fase della negazione o del rifiuto

«Ma è sicuro, dottore, che le analisi sono fatte bene?», «Non è possibile, si sbaglia!» e «Non ci posso credere» sono le frasi più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia grave; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente rifiuti o allontani la verità. Molto probabilmente il processo di negazione del proprio stato può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ansia e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. È una difesa che però diventa sempre più debole con il progredire della malattia, a meno che non s’irrigidisca e non raggiunga livelli patologici di disagio psichico.

Come può il famigliare essere d’aiuto?

Cerca di essere un buon ascoltatore quando sarà pronto per parlarne, riconosci il fatto che la negazione è un modo per affrontare una situazione traumatica e che ci vorrà del tempo perché accetti la realtà della sua condizione. Questo è importante perché chi sta vicino ad una persona affetta da una patologia seria non è in grado di capire fino in fondo ciò che succede al proprio familiare, amico, compagno di vita e spesso non riesce neppure ad attivare un atteggiamento di sereno ascolto, che possa permettere a chi si ammala di esprimere le proprie emozioni e paure o, se preferisce, parlare di cose leggere per distrarre l’attenzione. 

Se credi che questo stato si prolunghi troppo a lungo, non forzare la persona a parlare e non dirgli come dovrebbe stare; prova invece a parlargli di ciò che stai provando senza farti biasimare per le tue emozioni facendogli sentire tutto il tuo sostegno.

Fase della rabbia

Dopo la negazione, iniziano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura, che possono esplodere in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, Dio. La frase frequente è «Perché proprio a me?». È una frase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale degli individui coinvolti. Rappresenta una fase critica che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé. È normale sentirsi arrabbiati quando si riceve una notizia inaspettata ed è pure normale pensare che la vita sia stata ingiusta.

La tua rabbia può essere rivolta verso i medici che non hanno diagnosticato prima e che non sono stati capaci di curarti, puoi arrabbiarti con la tua famiglia perché non capisce cosa stai vivendo, puoi diventare meno tollerante con gli altri in generale. Molti pensano che la rabbia sia un’emozione negativa che deve essere evitata, in particolare tra le donne. È, invece, importante ricordare che la rabbia fa parte del processo di dolore. Reprimere la rabbia non è sano e camuffarla rende più difficile agli altri rispondere alle richieste in modo opportuno. Quando devi sfogare la tua rabbia assicurati di essere in un luogo sicuro senza ledere nessuno, magari con un amico fidato, oppure scrivi le tue emozioni in un diario o una lettera. È comune, tra molto persone, voler essere lasciati soli in questo momento in quanto ci si può sentire estraniati dalle attività sociali, evitati dalla famiglia e dagli amici. Prenditi del tempo per te stesso e chiedi agli altri che rispettino questo tuo bisogno. Se ti senti isolato e abbandonato potresti riconsiderare il fatto di tenere gli altri a distanza: informa famigliari e amici che hai bisogno di tempo per te stesso, ma non puoi escluderli dalla tua vita.

Come il famigliare può essere d’aiuto?

  • Ricordati che la rabbia non è diretta contro di te, ma contro la situazione;
  • Accetta il comportamento come parte del processo;
  • Prenditi una pausa dalla persona assicurandoti di non lasciarla sola e rispetta il suo bisogno di prendersi del tempo.

Fase del patteggiamento

In questa fase, la persona inizia a toccare con mano ciò che è in grado di fare e su quali progetti può investire, iniziando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera di relazione del soggetto, sia con le figure mediche o religiose. È un periodo prezioso per ristabilire cos’è più importante e creare delle opportunità per risolvere le questioni in sospeso.

Come il famigliare può essere d’aiuto?

È importante riconoscere e legittimare queste emozioni, ricordare che possono essere associate ad un senso di colpa e sostenere la persona nell’acquisizione di nuove consapevolezze.

Fase della depressione

Tutti ci sentiamo depressi a volte. Il senso di ansia può accompagnarsi al sentirsi depresso. Le persone con BPCO, spesso, si sentono stanche e incapaci di svolgere normali attività, sperimentando effetti collaterali dei medicinali (quali alterazione nel gusto dei cibi), difficoltà con l’uso dell’ossigeno e difficoltà ad uscire in pubblico. Tutte queste condizioni favoriscono la depressione. Questa fase rappresenta un momento nel quale il soggetto inizia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o che sta per subire e di solito si manifesta quando la malattia progredisce ed il livello di sofferenza aumenta. Lo sviluppo della depressione è connesso alla presa di coscienza di quegli aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali che si sono modificati o che vengono meno, ma anche al fatto che la persona non può più negare la sua condizione di salute. Inizia così a prendere coscienza che la ribellione è inutile; la negazione e la rabbia vengono sostituite da una forte senso di sconfitta.

Come il famigliare può essere d’aiuto?

In questa fase è essenziale e determinante il supporto famigliare e sociale in generale. Anche questa reazione è normale e fa parte del processo di elaborazione, ma occorre prestare una particolare attenzione alla durata e all’entità dei sintomi depressivi, in quanto vanno curati precocemente. Se non riconosciuta e curata, la depressione diventa un fattore di rischio per la salute e la qualità deìi vita del soggetto e di chi lo circonda.

Fase dell’accettazione

Quando il soggetto ha elaborato quanto gli sta succedendo, arriva all’accettazione della propria condizione e alla consapevolezza; durante questa fase, possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione, ma di intensità moderata. È una fase in cui la persona prende atto della situazione e trova un equilibrio che prevede l’accogliere la malattia stessa e l’inglobarla nella propria quotidianità.

Attacco di panico

L’ansia può essere così intensa da trasformarsi in panico. Si tratta di un fenomeno molto comune che colpisce almeno una volta nella vita almeno il 75% delle persone e altro non è che un intenso periodo di paura e disagio, decisamente brusco e inaspettato all’inizio, che si protrae solitamente per non più di 30 minuti.

Durante un attacco di panico, si possono avvertire i seguenti sintomi:

  • Battito cardiaco accelerato (il cuore corre e batte velocemente);
  • Difficoltà respiratoria (sentir mancare l’aria);
  • Terrore paralizzante;
  • Secchezza delle fauci;
  • Capogiri, stordimento, nausea;
  • Tremolii, scosse;
  • Agitazione, sudorazione abbondante;
  • Sensazione di soffocamento, dolore al torace;
  • Vampate o improvvisi brividi;
  • Formicolii nelle dita;
  • Paura di impazzire o di morire.

Uno dei principali sintomi è la paura persistente che si presenti un nuovo attacco. In realtà, per molte persone si tratta di attacchi rari, a volte anche unici episodi, ma sperimentare anche un solo attacco può indurre il soggetto in un circolo vizioso di ansia in grado di originare altra ansia. In una persona predisposta a questo genere di attacchi, un semplice stato d’ansia può, infatti, trasformarsi molto velocemente in qualcosa di più serio per l’inconscio auto-convincimento di impazzire, di morire o di perdere il controllo, secondo una crescita esponenziale di pensieri negativi e catastrofici in grado di peggiorare fortemente la situazione di partenza, sino ad arrivare al classico attacco di panico.

Il soggetto con problemi respiratori, in particolare, deve imparare a gestire l’ansia e l’angoscia evitando l’attacco di panico per l’impatto che questo ha sull’organismo; allo stesso tempo, la sensazione di “mancanza di fiato” a volte scatena nel soggetto un’ansia tale da sfociare in un attacco di panico, peggiorando i sintomi respiratori esistenti e aumentando la dispnea.

Gestire un attacco di panico

Il segreto sta nel concentrarsi per ristabilire una corretta respirazione. Ricorda questi tre elementi: posizione, respirazione, rilassamento.

  • Posizione – mettiti in una posizione comoda e che aiuti i tuoi muscoli respiratori a lavorare in modo più efficiente. Siediti, piegati leggermente in avanti, appoggia le braccia sul tavolo. Se sei in piedi e non hai un posto per sederti, appoggiati a qualcosa.
  • Respirazione – inizia a respirare con le labbra increspate, socchiuse. Butta fuori l’aria gradualmente, pian piano. Cerca di rallentare ancora il tuo respiro. Ricordati di inspirare dal naso e espirare con la bocca, attraverso le labbra socchiuse.
  • Rilassamento – quando hai il respiro sotto controllo, rilassa i muscoli continuando a controllare la respirazione. Appoggia le spalle allo schienale della sedia o al muro e rilassa le braccia. Chiudi gli occhi se ti aiuta a rilassarti. Una volta che ti senti sicuro, riprendi le attività, facendo tutto con molta calma.

Se soffri di ripetuti attacchi di panico e non riesci a controllare il tuo respiro durante l’attacco, puoi farti aiutare nella gestione dell’attacco da uno specialista psicologo che ti sostenga nel controllare il disturbo d’ansia o di panico, oppure puoi cercare supporto psicologico in qualcuno nel gruppo.

Per approfondire

La gestione dello stress ed il supporto psicologico sono affrontate anche nel nostro opuscolo:

Gli stili di vita nel deficit di alfa1 antitripsina – A propostito di emozioni